lunedì 12 febbraio 2018

Io & PCOS - come ha preso il sopravvento sulla mia vita




Avere 12 anni è difficile per tutti. Se non hai il carattere adatto ed una resilienza a prova di bomba, uscirne indenni é un'impresa. Se poi sei una ragazzina introversa e solitaria, le cose si complicano leggermente. Se poi da un paio d'anni sei anche già abbastanza riconoscibile come "donna" ma i medesimi ormoni che potrebbero farti essere popolare si manifestano anche come acne, allora ti sembra che la natura si stia accanendo contro di te.

Io ero una di quelle ragazzine. Già donna in una classe di ragazze piccoline e acerbe: alta e formosa, eppure lontana anni luce dall'essere popolare. 


Ricordo perfettamente, come se fosse successo ieri, l’umiliazione di implorare mia madre di permettermi di fare la ceretta, per poter andare in giro senza vergognarmi, così come quella di dover rinunciare alla piscina (mia grande passione d’infanzia) per il medesimo motivo. Ricordo i pianti infiniti durante l’ora di educazione fisica, anche e soprattutto per un professore che di umano non aveva nulla. Ricordo ogni singola frase che i bulli della scuola mi rivolgevano. Per questo oggi mi batto perché non succeda a nessun’altra ragazzina quello che é accaduto a me. E non sto parlando della PCOS, che è un disturbo che non si può evitare, ma della diagnosi tardiva che ho subìto io e che hanno subìto molte ragazzine come me ogni anno.


Avevo a quell'età un quadro sintomatologico che con il senno di poi, era già chiaro e doveva far sospettare un disturbo ormonale. Eppure mi é stata diagnosticata la Sindrome dell’Ovaio Policistico a 30 anni.


Quasi 20 anni passati a girovagare per specialisti, a spendere soldi su soldi in visite e farmaci che non hanno cambiato assolutamente nulla.


Mi contorcevo dal dolore ogni mese, non riuscendo nemmeno ad alzarmi dal letto per i crampi e la debolezza eppure 3 ginecologhe ed un medico di base mi hanno detto in anni diversi che il ciclo mestruale è fastidioso per tutte e che dovevo sopportare ed affidarmi ai farmaci da banco, che sarebbero bastati a far sparire tutto.


Sanguinavo copiosamente per quasi dieci giorni, spendendo un patrimonio in assorbenti e cercando in ogni locale pubblico un bagno ogni due ore per potermi cambiare e lavare, ma mi si diceva che bastava acquistare l’assorbente giusto.


Avevo faccia e corpo devastata dai brufoli ed un dermatologo e il solito medico di base mi dicevano che era semplicemente l’adolescenza che si manifestava.


Ma soprattutto, ogni anno ingrassavo e cambiavo nutrizionista. Andavo in palestra quattro volte a settimana ma cambiava poco. Per restare in forma (rotondetta ma non grassa) e tirare avanti durante gli anni del liceo, ero diventata bulimica (al tempo mi sembrava una soluzione, non un ulteriore problema). Poi il tracollo: il ciclo, da sempre irregolare, sparì per un anno. Andai dalla ginecologa del consultorio, che mi ascoltò a malapena. Nel frattempo avevo perso le speranze: un infortunio al ginocchio mi impedì di continuare con lo sport, l’università era iniziata e non riuscivo più a vomitare nemmeno volendo  lo perché avevo bisogno di energia. Provai a mangiare meno, ad abbuffarmi, a cambiare orari e porzioni. Ero una mongolfiera piena di grasso e acqua (per la ritenzione idrica) e davo la colpa un giorno al metabolismo e l’altra al fatto che mangiavo troppo. Alla fine mi arresi e iniziai a mangiare quello che volevo e quanto ne volevo, tanto agli occhi dei medici ero solo grassa e non riuscivo ad ammetterlo. La tiroide stava bene, ma la glicemia era alle stelle, così come colesterolo e trigliceridi: per tutti era la prova che semplicemente mangiavo male e troppo. Poteva essere vero, in fondo le patatine fritte mi erano sempre piaciute.


Nel frattempo mi sono iscritta alla facoltà di Biologia. Lì ho avuto la conferma che il mio ciclo era tutto tranne che fisiologico, così come il mio metabolismo. Qualcosa mi stava spingendo a non arrendermi: la conoscenza.


Poi la conferma: mia madre cambia ginecologo e vado anche io, per il controllo annuale. Per scrupolo, prima di vedere un nuovo medico, ho sempre fatto tutte le analisi ematologiche che ritenevo utili per presentargli il quadro completo. Quel dottore non era né fresco di studi né una donna eppure fu il primo ed il solo a parlarmi di policistosi ovarica, a farmi vedere le mie ecografie e spiegarmi perché avessi perdite da cascata e dolori lancinanti e a prescrivermi delle analisi specifiche. Scoprii allora che avevo la glicemia sotto carico alle stelle e livelli ormonali per nulla consoni ad una donna della mia età.


La prima volta che dopo tanti mesi mi tornò il ciclo piansi di gioia. Ora tutto aveva un nome: PCOS. Più mi informavo e più tutto sembrava avere un senso.


E oggi? Oggi assumo la piccola anticoncezionale ed ho il ciclo mestruale di cui leggevo nei testi universitari, prendo l’inositolo quando mi viene consigliato e la metformina per tenere sotto controllo la glicemia. Ma soprattutto, ora che so i meccanismi specifici della mia condizione, posso avere un piano nutrizionale su misura per le mie esigenze.

Dal momento della diagnosi sono passati due anni e ad un occhio esterno sembra che poco sia cambiato. Sono sempre la ragazza grassa che ero, quella con le analisi sballate, ma mese dopo mese sto cercando di rimettermi in sesto. Ho vissuto per troppo tempo sbagliando tutto e lasciando che i miei disturbi condizionassero i miei ritmi e la mia vita sociale. Ci vorrà tempo perché di tempo ne ho perso troppo, ma ad ogni ecografia le cose migliorano, ogni tot mesi i pantaloni stringono sempre meno e ogni 28 giorni mi basta un antidolorifico per essere pronta ad affrontare la giornata.


Forse non sarò mai una ragazza magra e senza problemi, ma il solo fatto di aver dato un nome al mio incubo dell’adolescenza mi ha tranquillizzato e mi ha permesso di assolvermi da molte colpe che mi ero attribuita.


Oggi ne parlo per la prima volta nero su bianco su questo blog, perché non può esistere al giorno d’oggi che un medico si fermi al giro vita quando un paziente chiede delle risposte. Non devono più esistere ritardi di 20 anni su una diagnosi. Nessuna donna deve sentirsi dire che essere nata femmina è la risposta ad un malessere. 


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