venerdì 29 settembre 2017

Proteste silenziose: dal pugno chiuso all'inginocchiarsi durante l'inno nazionale

Ho sempre sostenuto che per far valere le proprie ragioni non occorresse urlare, insultare o sfasciare vetrine ed automobili. Lo sostengo fin dai tempi della scuola, quando ho sempre partecipato ed organizzato eventi in sordina, senza che fosse necessario che l'intero istituto sapesse chi ci fosse dietro. Agli scioperi, da quando ho potuto (perché per i primi due anni se non entravo in classe a casa erano guai seri) ero presente ma non in prima fila (non ho mai avuto la voce adatta per urlare slogan :) ) e soprattutto non mi é mai piaciuto stare al centro dell'attenzione.


Sognavo fin da allora un mondo in cui fossero le proteste civili e pacifiche a cambiare il mondo e non le guerre. 




Senza entrare nel merito di quanto utopico sia questo pensiero, volevo ricollegare questa mia indole sognatrice e pacifista fino al midollo a quanto sta accadendo negli Stati Uniti. Nel paese che dovrebbe essere un rifugio sicuro per tutti gli uomini liberi (come recita il loro inno nazionale e la loro Costituzione), le forme di discriminazione sono ancora troppe. Anche un solo tipo di discriminazione é vergognosa, figuriamoci più di una.



[caption id="" align="aligncenter" width="501"]rosa parks Rosa Parks[/caption]

Le notizie delle ultime settimane riportano episodi di cieca violenza durante manifestazioni contro l'eccessiva violenza della polizia nei confronti di cittadini afro-americani e contro manifestanti che protestavano per alcuni monumenti a generali sudisti protagonisti della guerra civile americana. Perché sì, é proprio così, nel 2017, dopo aver superato la schiavitù e decenni di ghettizzazione, i neri americani ancora devono veder riconosciuto il loro status di cittadini uguali agli altri (e non solo le persone di colore, purtroppo) nonostante tutto: nonostante il coraggio di persone come Rosa Parks che ha sfidato la brutale convenzione che bianchi e neri dovessero sedersi in posti distinti sui mezzi pubblici fino alla coppia di atleti Tommie Smith e John Carlos, che sul podio olimpico, a Città del Messico, durante l'inno nazionale alzarono il pugno guantato (simbolo del Black Power, movimento per i diritti degli afro-americani).

[caption id="" align="aligncenter" width="412"]Tommie Smith e John Carlos Tommie Smith e John Carlos[/caption]

Una cosa molto simile al gesto di Smith e Carlos lo abbiamo visto nei giorni scorsi, sempre nella non-così-proprio-civile America. Dopo l'ennesima escalation di violenza ingiustificata delle forze di polizia verso la comunità afro-americana e nei confronti dei cittadini che manifestavano contro questa ed altre politiche di intolleranza, il mondo dello sport ha iniziato una nuova protesta pacifica ma d'impatto. A dare inizio alle danze é stato il campione di football Colin Kaepernick, quaterback dei San Francisco 49ers che prima del match con i Green Bay Packers, si rifiutò di alzarsi in piedi durante l'esecuzione dell'inno nazionale. A seguire il suo esempio furono poi molti altri giocatori, che preferirono inginocchiarsi durante l'inno, per attirare l'attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica su un tema tanto delicato quanto urgente.

[caption id="" align="aligncenter" width="531"]Colin Kaepernick Colin Kaepernick (al centro)[/caption]

E così campioni del football, del basket e del baseball (tutti sport che più americani non si potrebbe) si sono inginocchiati, mandando un messaggio chiaro: qualcosa deve cambiare. Fanno talmente parlare di sé che confermano la mia tesi iniziale di questo post: le proteste silenziose possono fare più rumore di quelle urlate.

Com'era prevedibile, l'opinione pubblica si é letteralmente spaccata in due: chi ha apprezzato il gesto e lo ha riproposto e chi si é scagliato contro quello che ritiene un oltraggio ad un'intera nazione. Io, nel mio piccolo, sono dalla parte di chi si inginocchia, di chi protesta senza alzare voce e mani. Non ritengo assolutamente che ascoltare l'inno nazionale in ginocchio invece che in piedi sia oltraggioso (come ha affermato lo stesso Trump, personaggio a cui non voglio dedicare nemmeno un minuto di popolarità in più), anzi. Inginocchiarsi é semplicemente un modo alternativo di rispettare quelli che sono stati definiti "patrioti che hanno lottato e sono morti per la bandiera americana", un modo che attiri l'attenzione e sensibilizzi sulla questione.

Evidentemente non sono l'unica a pensarla così, perché ben presto anche il mondo dello spettacolo si é attivato e ha solidarizzato con gli sportivi ed i cittadini, riproponendo il gesto della genuflessione e raggiungendo anche un'altra, diversa e altrettanto ampia, fetta di pubblico. Due esempi su tutti: i due protagonisti di X-files Gillian Anderson e David Duchovny hanno dimostrato il loro sostegno alla causa sul set:

[embed]https://twitter.com/GillianA/status/912497054454370305[/embed]

mentre l'intero cast artistico di Grey's Anatomy si é fatto immortalare nella sua interezza durante le celebrazioni per l'episodio numero 300, proprio mentre esprimono il loro dissenso in ginocchio. L'hashtag che Shonda Rhimes ha utilizzato é quello "ufficiale" dell'iniziativa, che ha fatto rapidamente il giro del mondo: #takeaknee

[embed]https://www.instagram.com/p/BZhmQsmDu1v/[/embed]

Forse queste iniziative pacifiche non serviranno a far cambiare opinione uno degli uomini politici più ottusi della storia, ma di sicuro contribuiscono a diffondere consapevolezza di alcune questioni importanti, sensibilizzando persone anche lontanissime. In fondo, come diceva anche Madre Teresa (donna con cui raramente sono stata d'accordo), l'oceano é fatto di tante piccole gocce.

Non commettiamo l'errore di non fare la nostra parte: in quest'epoca in cui siamo tutti connessi ed in contatto, possiamo far diventare virale qualunque messaggio. E cosa c'è di più importante di usare la tecnologia per una giusta causa? L'indifferenza uccide, sempre.

Nessun commento: